Il patrimonio edilizio italiano

L’Italia è caratterizzata da un patrimonio edilizio che conta in totale circa 12 milioni di edifici residenziali, rappresentano l’85% dell’intero costruito. Di questo patrimonio, una buona fetta è stata costruita decenni fa e presenta di conseguenza tutte le problematiche del caso.
Confartigianato, successivamente al crollo del palazzo nel quartiere Flaminio a Roma a inizio anno, ha svolto un censimento riguardo lo stato degli edifici italiani. I risultati non sono rassicuranti. Sono circa 2 milioni gli edifici in cattivo stato, questo significa che più del 15% delle nostre abitazioni necessita di un intervento consistente. La situazione è peggiore nel Sud Italia e tocca il suo apice negativo in Calabria, con un valore pari al 26,8% di edifici in condizioni negative. Seguono a ruota la Sicilia e la Basilicata, mentre si distinguono in positivo Trentino Alto Adige e Umbria, dove la percentuale si attesta intorno al 10%. Non è un caso che ben il 74% degli edifici residenziali italiani sia stato costruito prima del 1981, contro un 26% circa di nuove realizzazioni. 

Molti degli edifici costruiti da metà Novecento fino agli anni ’80, presentano però un ampio margine di miglioramento, in quanto non sono caratterizzati da tipologie costruttive ricorrenti e non sono vincolati da valenze storiche o monumentali. 

Un problema di notevole entità riguarda l’adeguamento degli edifici rispetto alla normativa antisismica. Infatti più del 60% degli edifici esistenti è stato realizzato prima della legge antisismica del 1974. Le norme Tecniche per le Costruzioni considerano interventi di consolidamento a sezione composta o mista e sono più di 7 milioni gli edifici che necessitano di un intervento di messa in sicurezza. Fino al 1974 i comuni venivano classificati in diverse classi di rischio, principalmente dovute anche al verificarsi di eventi sismici, fino all’introduzione in quell’anno dell’obbligo di classificarli sulla base di conoscenze e motivazioni tecnico-scientifiche. Si arriva quindi alla classificazione del territorio in 3 categorie di rischio, che però diventano 4 nel 2003, con la scomparsa delle aree “non classificate”. 

Un’ultima considerazione riguarda la quantità di edifici per i quali è già stato svolto un intervento ma nel modo sbagliato. In questi casi i danni possono essere di grande entità e rendere un secondo intervento ancora più complicato, per pericoli statici o tecnici. Può essere che un’errata valutazione della struttura e dei carichi applicabili comporti gravi conseguenze, così come interventi irreversibili possono causare la perdita di manufatti o di elementi di grande valore storico. Nel nostro Paese i casi non mancano e maggior ragione si dovrebbe sottolineare l’importanza di poter contare su degli operatori qualificati e competenti, sia in fase progettuale che esecutiva.
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