ANCE: utilizzo dei Fondi Europei tra i più bassi in Europa

Da un approfondimento dell’Ufficio Studi ANCE su fonte Commissione UE, si evince che nel 2017 l’Italia si è collocata al quartultimo posto tra i paesi europei nella spesa dei fondi strutturali UE (FESR e FSE): 2,833 miliardi su 51,7, e cioè il 5,6% sul totale della programmazione 2014-2020, contro una media europea del 10,5%.
Su 28 paesi, 24 fanno meglio di noi: Germania al 18,1%, Francia al 12,8%, Grecia al 15,7%, Polonia al 10% Portogallo al 20,8%, Regno Unito al 9%; peggio, solo Romania (3,7%), Slovenia (3,6%), Irlanda (2,7%). Se poi ci limitiamo al Fesr (infrastrutture e opere pubbliche), la spesa 2017 si è fermata al 4,6%, peggio ha fatto solo la Slovenia (1,6%), mentre (tra i maggiori beneficiari) il Portogallo è al 21%, la Francia al 10,7%, la Germania al 14,1%, la Grecia al 13%, la Polonia al 9,6%. 

Il 2017 è stato così un anno di crescita mancato per il settore delle costruzioni, con uno 0,1% complessivo e un -3% del comparto opere pubbliche. In 10 anni sono stati persi 60 miliardi di investimenti in infrastrutture. Gravi le ripercussioni sull’economia di tutto il territorio nazionale: con il contributo dell’edilizia il Pil sarebbe potuto salire di un ulteriore 0,5% all’anno, agganciando così i livelli di crescita europei. 
In effetti, a parere dei costruttori, l’auspicata crescita nel settore delle opere pubbliche non può prescindere dalla spesa dei fondi europei e da una serie di migliorie al nuovo codice degli appalti, finora più foriero di problematiche che di benefici per il comparto. Infatti, non essendo ancora stato ridotto il numero delle stazioni appaltanti e istituito l’albo dei commissari da coinvolgere nelle commissioni giudicanti, il nuovo codice lascia alle stazioni appaltanti un’eccessiva autonomia decisionale sui bandi con offerta economicamente più vantaggiosa, senza avere la necessaria qualificazione. 
Come risultato, talvolta situazioni di corruzione o collusione che il codice intendeva avversare, oggi appaiono ancora più semplici da perpetrarsi rispetto a prima. 

Marcatissima la difficoltà di fare investimenti pubblici al Sud, proprio dove ve ne sarebbe più bisogno. A fronte di una spesa media del 5,9% quelli del Centro-Nord sono già al 10,3% (in linea con la media Ue), mentre quelli del Sud sono fermi al 3,3%, con regioni come la Sicilia praticamente immobili allo 0,8% di spesa sul totale. 
Si stigmatizza quindi un calo progressivo decennale della spesa in conto capitale della pubblica amministrazione (al netto delle partite finanziarie), dal 3,9% del Pil del 2009 (dato complessivo Italia) al 2,2% del 2016, con il Sud strutturalmente lontano: dall'1,4% del Pil (del Sud) nel 2009 allo 0,8% del 2016. Nel 2017 gli investimenti fissi lordi della Pa (Istat 1° marzo) sono ulteriormente calati del 5,6%, quando il Def di un anno fa prevedeva un aumento del 2,8%. La quota di investimenti pubblici al Sud sul totale Italia è calata dal 40% del 2000-2002 al 37% del 2016 (con oscillazioni di anno in anno). Si tratta di una perdita di capacità amministrativa e progettuale da parte delle pubbliche amministrazion. 
I governi Renzi e Gentiloni hanno stanziato risorse per 140 miliardi di euro per investimenti infrastrutturali da realizzare nei prossimi 10-16 anni (a seconda dei casi), di cui il 60% nel Mezzogiorno (83 miliardi). L'Anas ha un programma appena approvato che vale 33 miliardi, di cui circa il 55% al Sud; Rfi ha nuove risorse per 31 miliardi di euro, con quota al Sud salita rispetto ai piani precedenti dal 34 al 45%. Nondimeno, e proprio per questo, tornare a crescere è possibile: le previsioni per il 2018 indicano a livello nazionale un rialzo del 2,4% degli investimenti totali in costruzioni. Un risultato che potrà essere raggiunto solo se saranno rimossi tutti gli ostacoli e le inefficienze che bloccano i cantieri e frenano la crescita dell’intera economia. La chiave sta nel rilanciare la spesa vera. «Il Sud ha bisogno di investimenti – precisa il presidente dell'ANCE, Gabriele Buia – ma bisogna snellire le procedure, dal Codice appalti ai doppi e tripli passaggi al Cipe, o tra i Ministeri e alla Corte dei Conti».
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