“Chi ha progettato l’Italia?” Una ricerca CRESME/Cnappc

Storicamente, il 41% degli edifici è stato autocostruito, il 40% progettato da geometri, l’11% da architetti, l’8% da ingegneri. Oggi però le percentuali si sono invertite.
Questo, in estrema sintesi, il risultato di uno studio congiunto del Cnappc (Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori) e del CRESME, intitolato “Chi ha progettato l’Italia? Ruolo dell’Architettura nella qualità del paesaggio edilizio italiano”.
Ecco il dato forse più inaspettato: degli 11,9 milioni di edifici residenziali in Italia, 5 milioni (il 41%) sono stati realizzati attraverso forme di auto-promozione e di autocostruzione o da figure professionali che nel passato erano quelle del capo-cantiere o del mastro-costruttore. È evidente che proprio all’interno di queste realtà si colloca la maggior parte della produzione abusiva.  
Altri 4,8 milioni di edifici (il 40%) sono stati progettati dai geometri; 1,3 milioni (l’11%) dagli architetti; 900 mila edifici, infine, dagli ingegneri.  

Questa tendenza, tuttavia, ha ceduto il passo a una vero e proprio contrordine: nel 2017, relativamente alla progettazione, su un campione di 3.600 cantieri e progetti di nuova costruzione attivi, i progetti a firma di un architetto sono pari al 47,8%, quelli di un ingegnere al 32,2%, mentre quelli a firma di un geometra sono pari al 19,8%. 
Se si analizza il suddetto campione, l’architetto vede crescere il suo ruolo nell’attività di progettazione generale (50,3%), soprattutto si sale al 75,8% per la progettazione architettonica; mentre gli impianti per l’86,1% e le strutture per il 93,6% sono progettati da ingegneri; la voce in cui il geometra emerge con maggior peso è quella della progettazione generale, all’interno della quale il geometra firma il progetto nel 23% dei casi analizzati. 

L’indagine è stata svolta in diacronia: 
• 2,15 milioni di edifici sono stati costruiti prima del 1919 
• 1,38 milioni sono il frutto della costruzione tra le due guerre, 51.100 edifici costruiti all’anno; 
• 1,66 milioni di edifici sono il portato della ricostruzione (1946-1960), con una produzione di circa 110.700 edifici all’anno; 
• 1,97 milioni sono il prodotto degli anni ’60, quelli del boom economico e del triangolo industriale, si tratta di 197.000 edifici all’anno; 
• 1,98 milioni di edifici sono stati realizzati negli anni ’70, 198mila edifici all’anno, soprattutto nelle province e nel Mezzogiorno. 
• 1,29 milioni di edifici negli anni ’80 129.000 all’anno; 80.000 edifici all’anno. È questo il periodo della crisi delle città del Centro Nord. 
• La crisi, da allora, prosegue senza interruzioni: tra 2011 e 2016 si scesi fino a 32.000 edifici all’anno. 

Soffermandoci invece sulle tipologie edilizie e sul modello insediativo italiano, notiamo che sul territorio nazionale sussistono 15 milioni di edifici: 11,9 milioni di edifici sono residenziali, destinati unicamente all’abitare o a un mix di attività residenziali ed economiche; 1,6 milioni sono gli edifici interamente destinati allo svolgimento di attività non residenziali, primarie, secondarie o terziarie; 1,5 milioni di edifici sono o non utilizzati, o non in grado di produrre reddito, o destinati ad altri usi. Degli 11,9 milioni di edifici destinati alla residenza, 9,1 milioni, il 76,5%, sono costituiti da edifici mono-bifamigliari; 2,3 milioni per 9 milioni di abitazioni pari al 19,3% dello stock edilizio e al 29,4% delle abitazioni, sono costituiti da edifici da 3 a 8 piani; 300mila, per 3,6 milioni di abitazioni sono costituiti da edifici da 9 a 15 abitazioni; 200mila, per 6,3 milioni di abitazioni, sono costituiti da edifici con oltre 15 abitazioni. 

Forte di questi dati, la ricerca ipotizza che l’Italia potrebbe essere divisa in tre grandi tipologie: 
1. l’Italia mono-bifamigliare della provincia e della dispersione, prevalentemente costituita da edilizia mono-bifamigliare, o da una moda costruttiva costituita da edifici comunque di piccole dimensioni in parte “autopromossa”, quando non abusiva; 
2. l’Italia della periferia, addossata alle aree centrali, frutto di modelli edilizi più intensi, fatta di edifici con oltre 5 abitazioni, e che man mano salgono in altezza in relazione ai valori immobiliari urbani e ai cicli storici della speculazione immobiliare senza mai raggiungere nel nostro Paese l’intensità e la dimensione raggiunta nelle altre grandi metropoli europee e internazionali; 
3. la ‘piccola’ Italia dei centri storici, perché i centri storici sono piccoli in termini di edifici e popolazione; è l’Italia della conservazione del patrimonio storico-artistico e del tessuto storico-edilizio, l’esito di un percorso culturale e di valori architettonici così forte da determinare la principale specificità politica italiana in materia di urbanistica, forse l’unica vera politica dal secondo dopoguerra, tale da segnare l’immagine del nostro Paese come un paese ancorato al suo passato fatto di cento città che restano identificate nella massima rappresentazione di “città storiche”.
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