L’edilizia si mette a nuovo, si punta sul recupero del patrimonio esistente
Il recupero del patrimonio esistente è un tema chiave che risponde a molte delle esigenze dell’edilizia del presente e quindi del futuro. L’attenzione rispetto questo tema è in continua crescita e i motivi sono molteplici: dall’efficienza energetica, alla sicurezza sismica, al rilancio economico del settore.
Le ristrutturazioni, il recupero e il restauro interessano i cittadini in prima persona, per il loro diritto a vivere in ambienti sani, sicuri ed efficienti; interessa i progettisti, che con la propria competenza e professionalità devono scegliere le migliori strade per riqualificare il costruito; interessa le imprese, che dovranno essere sempre più all’altezza di svolgere lavori specifici del campo; interessa le aziende produttrici di materiali, affinché studino prodotti ad hoc per il recupero e il risanamento degli edifici.
Interessa, quindi, l’intera filiera delle costruzioni, per i risvolti economici, tecnici, energetici, culturali che comporta. Le speranze per un reale sviluppo sostenibile, nel settore edile, non possono che trovare risposta in una sistematica riqualificazione dell’ambiente urbano e del patrimonio esistente, con ridotto consumo di suolo e di risorse.
Elencare gli interventi necessari al recupero di un immobile è un’ardua operazione per la grande quantità di interventi possibili e per la loro specificità rispetto ogni singolo caso. Questo dipende da molti fattori, quali lo stato di manutenzione dell’edificio, le sue caratteristiche strutturali, le sue prestazioni attuali, le esigenze degli abitanti e così via. Dal Testo Unico dell’edilizia, si distinguono gli “interventi di manutenzione straordinaria”, che consistono in ”opere e modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso”. Ad una voce differente ritroviamo gli “interventi di restauro e di risanamento conservativo”, che hanno l’obiettivo di garantire la funzionalità e la sicurezza dell’organismo e comprendono anche interventi quali “il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso”. Si citano infine gli “interventi di ristrutturazione edilizia”, che possono dar luogo ad un organismo edilizio anche completamente differente e comprendono “il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”. Il definire quali siano gli interventi necessari o più idonei in ogni singola situazione, non è cosa sempre scontata e banale. Tutt’altro. La fase di analisi e di progettazione è sicuramente molto delicata, ancor di più se si tratta di edifici di un certo valore o storia. E’ necessario conoscere l’edificio e comprenderne la struttura, la tecnica costruttiva, i materiali, la destinazione d’uso, perché per ogni caso esistono una tecnologia e un materiale più o meno adatti. Si effettua sempre un’analisi dello stato di fatto, in cui attraverso precise tecniche e appositi strumenti è possibile conoscere il degrado e le problematiche che presenta l’edificio. Andando per gradi, dopo aver provveduto a rendere adeguata e sicura la struttura, si passa al resto dell’edificio.
Nel caso in cui si tratti di un edificio storico, il suo restauro è un lavoro che necessita di tecnici con una certa cultura e una preparazione adeguata: un edificio storico è molto probabilmente unico e quindi di valore. Ma anche se non si tratta di un edificio di tale valenza il suo restauro segue segue comunque principi specifici e resta salda la consapevolezza dell’identità e della storia di quell’immobile, con le proprie caratteristiche e peculiarità. Questo non significa che debba essere preservato nella sua forma, ma che è sempre importante prestare attenzione alla funzione che vi si svolge e ciò che l’edificio rappresenta. L’approccio italiano al tema è mutato con il tempo, ma è già dagli anni ’50 che da ragionamenti di scala urbanistica si è spostata l’attenzione al costruito, anche al di là di ciò che compone e caratterizza un centro storico. A seconda delle scuole di pensiero e dell’oggetto di intervento di recupero, si possono distinguere un atteggiamento storico, tipico del restauro, uno architettonico-progettuale, legato a rifunzionalizzazione e adeguamento degli spazi, uno urbanistico, che mira aulla programmazione e alla ricerca di normative che regolino i processi di recupero e infine uno tecnico-tecnologico. Le strategie di intervento sono varie e la scelta deve essere ben ponderata.
A livello normativo, il primo punto di riferimento risale a circa 40 anni fa, con la legge n. 457 del 1978, che al titolo IV riporta le “norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente”. Altro passo importante è sicuramente quello fatto con l’art.3 del DPR n.380 del 2001
La situazione attuale
L’Italia è caratterizzata da un patrimonio edilizio che conta in totale circa 12 milioni di edifici residenziali, rappresentano l’85% dell’intero costruito. Di questo patrimonio, una buona fetta è stata costruita decenni fa e presenta di conseguenza tutte le problematiche del caso.
Confartigianato, successivamente al crollo del palazzo nel quartiere Flaminio a Roma a inizio anno, ha svolto un censimento riguardo lo stato degli edifici italiani. I risultati non sono rassicuranti. Sono circa 2 milioni gli edifici in cattivo stato, questo significa che più del 15% delle nostre abitazioni necessita di un intervento consistente. La situazione è peggiore nel Sud Italia e tocca il suo apice negativo in Calabria, con un valore pari al 26,8% di edifici in condizioni negative. Seguono a ruota la Sicilia e la Basilicata, mentre si distinguono in positivo Trentino Alto Adige e Umbria, dove la percentuale si attesta intorno al 10%. Non è un caso che ben il 74% degli edifici residenziali italiani sia stato costruito prima del 1981, contro un 26% circa di nuove realizzazioni.
Molti degli edifici costruiti da metà Novecento fino agli anni ’80, presentano però un ampio margine di miglioramento, in quanto non sono caratterizzati da tipologie costruttive ricorrenti e non sono vincolati da valenze storiche o monumentali.
Un problema di notevole entità riguarda l’adeguamento degli edifici rispetto alla normativa antisismica. Infatti più del 60% degli edifici esistenti è stato realizzato prima della legge antisismica del 1974. Le norme Tecniche per le Costruzioni considerano interventi di consolidamento a sezione composta o mista e sono più di 7 milioni gli edifici che necessitano di un intervento di messa in sicurezza. Fino al 1974 i comuni venivano classificati in diverse classi di rischio, principalmente dovute anche al verificarsi di eventi sismici, fino all’introduzione in quell’anno dell’obbligo di classificarli sulla base di conoscenze e motivazioni tecnico-scientifiche. Si arriva quindi alla classificazione del territorio in 3 categorie di rischio, che però diventano 4 nel 2003, con la scomparsa delle aree “non classificate”.
Un’ultima considerazione riguarda la quantità di edifici per i quali è già stato svolto un intervento ma nel modo sbagliato. In questi casi i danni possono essere di grande entità e rendere un secondo intervento ancora più complicato, per pericoli statici o tecnici. Può essere che un’errata valutazione della struttura e dei carichi applicabili comporti gravi conseguenze, così come interventi irreversibili possono causare la perdita di manufatti o di elementi di grande valore storico. Nel nostro Paese i casi non mancano e maggior ragione si dovrebbe sottolineare l’importanza di poter contare su degli operatori qualificati e competenti, sia in fase progettuale che esecutiva.
Più sano ed efficiente
L’Europa ha intrapreso un percorso per raggiungere precisi ed ambiziosi obiettivi di risparmio energetico, riduzione di emissioni di gas serra e un uso razionale delle risorse. Gli stati membri si sono allineati a questa tendenza e nel nostro Paese l’argomento è di grande attualità. La sensibilità al tema è notevolmente aumentata, sia nell’utente finale che negli operatori del settore. L’aver reso obbligatori una serie di interventi e adeguamenti, ha fatto sì che la qualificazione energetica del costruito (e ovviamente lo stesso vale per le nuove realizzazioni) non sia più conseguenza di attenzione particolare di un soggetto personalmente molto sensibile al tema ma una prassi regolare. Gli interventi di nuova realizzazione, inoltre, rappresenteranno solo una piccola parte dell’intero patrimonio, che è per la maggior parte costituito da edifici esistenti, anche molto vecchi. Un edificio degli anni ’30 incorrerà inevitabilmente nell’esigenze di una ristrutturazione, sia strutturale che energetica. Nel momento in cui si metterà mano a questi immobili, sarà obbligatorio adeguarli a tutte le normative vigenti e si auspica che un giorno – magari non troppo lontano – la quasi totalità possa essere confrontata con edifici di nuova realizzazione.
Un vero approccio sostenibile vuole che la riqualificazione del singolo edificio sia integrata in un progetto di più ampio respiro. In Italia sono indispensabili processi di rigenerazione che non siano composti da interventi isolati e puntuali, ma che abbiano un ampio respiro. Una visione complessiva e a lungo termine che permetta una maggiore qualità urbana e un approccio sostenibile.
Recentemente il presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservstori Giuseppe Cappochin si è espresso in questo modo: “Un coordinamento strategico di ampio respiro che delinei politiche urbane di lungo periodo in grado di realizzare, attraverso nuove norme urbanistiche, la rigenerazione urbana sostenibile congiuntamente allo stop al consumo di suolo, all’efficientamento energetico, a misure per favorire l’inclusione sociale: di questo ha bisogno il Paese perché se prende il via una vera e propria rigenerazione delle nostre città, riparte l’edilizia e di conseguenza l’intera economia del Paese. Farlo significa costruire una nuova visione del futuro delle aree urbane che metta al centro i cittadini e che renda le nostre città protagoniste della competizione internazionale sul terreno della capacità di attrazione degli investimenti”.
La riqualificazione energetica è incentivata con detrazioni fiscali e agevolazioni. Nel 2016 è stata confermata e rinnovata questa direzione, con la proroga della detrazione fiscale fino al 65% per gli interventi di efficienza energetica degli edifici, l’estensione delle agevolazioni ad ulteriori casi e l’attenzione alla riqualificazione di parti condominiali. Si ampliano gli incentivi anche alle spese sostenuti per installazioni di impianti domotici e si da la possibilità di usufruire dell’ecobonus anche agli Isituti autonomi per le case popolari. Gli interventi interessati riguardano riqualificazioni globali dell’edificio, interventi sull’involucro, sistemi di produzione di energia da fonte rinnovabile, interventi sugli impianti.
Il dispendio di energia principale è dovuto al riscaldamento e gli interventi da realizzare per una riqualificazione energetica devono puntare al miglioramento delle prestazioni dell’involucro edilizio (sia opaco che trasparente), prevedere la sostituzione dei vecchi impianti con sistemi nuovi ed efficienti (climatizzazione invernale ma anche estiva, illuminazione, aerazione) e il controllo di tutte le componenti e i sistemi attivi presenti nell’edificio.
Un trampolino di ri-lancio
Il settore edilizio vive ormai da anni un periodo di grandi difficoltà. Si parla di crisi, di cambiamento, di punto di ripartenza per dar vita ad un settore che deve necessariamente rinnovarsi. Una spinta interessante arriva sicuramente dal restauro e dal recupero, che possono diventare trampolino di ri-lancio per l’intero settore. Si tratta di un’occasione che non può che essere colta al volo, soprattutto anche per lo slancio dato dagli incentivi per la riqualificazione energetica. L’Unione Europea incoraggia gli stati membri ad accogliere la sfida dell’innovazione, rinnovando il proprio comparto edilizio e puntando sulla riqualificazione del costruito. La quota di lavori incentivati nel biennio 2013-2014 è pari al 60% del totale realizzato nell’edilizia residenziale (28,5 miliardi dei quali 24,5 relativi a ristrutturazione edilizia, 3,9 per la riqualificazione energetica): anche se vi sono ulteriori spazi di utilizzo delle detrazioni, si conferma l’effetto positivo della presenza degli incentivi per la crescita degli investimenti in rinnovo.
Le prospettive di sviluppo non sono solo in termini energetici, ma si raccoglieranno risultati positivi anche in ambito sociale ed economico. Si può garantire una qualità di vita e di comfort molto più elevato, dando la possibilità alle persone di vivere in ambienti salubri e rinnovati. Allo stesso tempo il recupero permette di aumentare la quantità di lavoro di imprese e aziende del settore, aiutando a rilanciare efficacemente il sistema paese. Infatti le ristrutturazioni rappresentano ormai circa il 70% del mercato dell’edilizia residenziale e la necessità di dare risposta alla necessità di adeguare un patrimonio ormai obsoleto porterà sempre più possibilità di crescita.
Le elaborazioni del Centro Studi FederlegnoArredo confermano peraltro il buon andamento della riqualificazione. Secondo ANCE, che rileva solo gli investimenti incrementali del patrimonio immobiliare (nuove costruzioni più manutenzione straordinaria) gli investimenti in Costruzioni nel 2016 torneranno a crescere, raggiungendo i 132,5 miliardi di euro oltre metà dei quali destinati all’edilizia residenziale.
A tenere negli ultimi anni, sono stati gli investimenti in manutenzione straordinaria delle abitazioni, con incrementi che si sono sempre susseguiti anno dopo anno. Anche nel 2015 le stime dell’ANCE evidenziano un segnale positivo: + 3,6% rispetto all’anno precedente mentre gli investimenti in nuove abitazioni continuano a registrare un lieve calo (- 1,5%). Complessivamente, tra il 2007 e il 2015 gli investimenti in manutenzione straordinaria delle abitazioni sono aumentati del 39% a prezzi correnti, in continua crescita e in netta controtendenza rispetto alle nuove abitazioni, superandole in valore.
Il valore degli investimenti per il rinnovo (comprensivo di manutenzioni straordinarie, ordinarie e opere del Genio Civile) del patrimonio edilizio 2014, sia residenziale che non, è valutato da Cresme in 117,3 miliardi di euro (+0,4% rispetto al 2013). Anche in questo caso le attività di manutenzione rappresentano una quota pari a circa il 70% della produzione totale, suddivisa tra ordinaria – 31% - e straordinaria – prevalente, con il 69% del totale e in crescita costante con un incremento del +0,9% rispetto al 2013.
Interessante notare che le spese di rinnovo straordinarie destinate all’edilizia residenziale trainano gli investimenti: nel 2014 (ultimo dato disponibile) registrano un incremento del 19,4% rispetto al 2013, attestandosi a 47,3 miliardi di euro mentre il dato complessivo delle manutenzioni straordinarie ha una variazione complessiva solo dello 0,9%.
Per il 2016 Cresme prevede un nuovo incremento degli investimenti in rinnovo (+2,4% a prezzi costanti), trainato dal residenziale (+1,5%) ma soprattutto dal non residenziale (+3,7%), con riferimento particolare a progetti pubblici e specialmente di ingegneria civile, garantendo nuova linfa e vitalità al settore.
Interessa, quindi, l’intera filiera delle costruzioni, per i risvolti economici, tecnici, energetici, culturali che comporta. Le speranze per un reale sviluppo sostenibile, nel settore edile, non possono che trovare risposta in una sistematica riqualificazione dell’ambiente urbano e del patrimonio esistente, con ridotto consumo di suolo e di risorse.
Elencare gli interventi necessari al recupero di un immobile è un’ardua operazione per la grande quantità di interventi possibili e per la loro specificità rispetto ogni singolo caso. Questo dipende da molti fattori, quali lo stato di manutenzione dell’edificio, le sue caratteristiche strutturali, le sue prestazioni attuali, le esigenze degli abitanti e così via. Dal Testo Unico dell’edilizia, si distinguono gli “interventi di manutenzione straordinaria”, che consistono in ”opere e modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso”. Ad una voce differente ritroviamo gli “interventi di restauro e di risanamento conservativo”, che hanno l’obiettivo di garantire la funzionalità e la sicurezza dell’organismo e comprendono anche interventi quali “il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso”. Si citano infine gli “interventi di ristrutturazione edilizia”, che possono dar luogo ad un organismo edilizio anche completamente differente e comprendono “il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”. Il definire quali siano gli interventi necessari o più idonei in ogni singola situazione, non è cosa sempre scontata e banale. Tutt’altro. La fase di analisi e di progettazione è sicuramente molto delicata, ancor di più se si tratta di edifici di un certo valore o storia. E’ necessario conoscere l’edificio e comprenderne la struttura, la tecnica costruttiva, i materiali, la destinazione d’uso, perché per ogni caso esistono una tecnologia e un materiale più o meno adatti. Si effettua sempre un’analisi dello stato di fatto, in cui attraverso precise tecniche e appositi strumenti è possibile conoscere il degrado e le problematiche che presenta l’edificio. Andando per gradi, dopo aver provveduto a rendere adeguata e sicura la struttura, si passa al resto dell’edificio.
Nel caso in cui si tratti di un edificio storico, il suo restauro è un lavoro che necessita di tecnici con una certa cultura e una preparazione adeguata: un edificio storico è molto probabilmente unico e quindi di valore. Ma anche se non si tratta di un edificio di tale valenza il suo restauro segue segue comunque principi specifici e resta salda la consapevolezza dell’identità e della storia di quell’immobile, con le proprie caratteristiche e peculiarità. Questo non significa che debba essere preservato nella sua forma, ma che è sempre importante prestare attenzione alla funzione che vi si svolge e ciò che l’edificio rappresenta. L’approccio italiano al tema è mutato con il tempo, ma è già dagli anni ’50 che da ragionamenti di scala urbanistica si è spostata l’attenzione al costruito, anche al di là di ciò che compone e caratterizza un centro storico. A seconda delle scuole di pensiero e dell’oggetto di intervento di recupero, si possono distinguere un atteggiamento storico, tipico del restauro, uno architettonico-progettuale, legato a rifunzionalizzazione e adeguamento degli spazi, uno urbanistico, che mira aulla programmazione e alla ricerca di normative che regolino i processi di recupero e infine uno tecnico-tecnologico. Le strategie di intervento sono varie e la scelta deve essere ben ponderata.
A livello normativo, il primo punto di riferimento risale a circa 40 anni fa, con la legge n. 457 del 1978, che al titolo IV riporta le “norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente”. Altro passo importante è sicuramente quello fatto con l’art.3 del DPR n.380 del 2001
La situazione attuale
L’Italia è caratterizzata da un patrimonio edilizio che conta in totale circa 12 milioni di edifici residenziali, rappresentano l’85% dell’intero costruito. Di questo patrimonio, una buona fetta è stata costruita decenni fa e presenta di conseguenza tutte le problematiche del caso.
Confartigianato, successivamente al crollo del palazzo nel quartiere Flaminio a Roma a inizio anno, ha svolto un censimento riguardo lo stato degli edifici italiani. I risultati non sono rassicuranti. Sono circa 2 milioni gli edifici in cattivo stato, questo significa che più del 15% delle nostre abitazioni necessita di un intervento consistente. La situazione è peggiore nel Sud Italia e tocca il suo apice negativo in Calabria, con un valore pari al 26,8% di edifici in condizioni negative. Seguono a ruota la Sicilia e la Basilicata, mentre si distinguono in positivo Trentino Alto Adige e Umbria, dove la percentuale si attesta intorno al 10%. Non è un caso che ben il 74% degli edifici residenziali italiani sia stato costruito prima del 1981, contro un 26% circa di nuove realizzazioni.
Molti degli edifici costruiti da metà Novecento fino agli anni ’80, presentano però un ampio margine di miglioramento, in quanto non sono caratterizzati da tipologie costruttive ricorrenti e non sono vincolati da valenze storiche o monumentali.
Un problema di notevole entità riguarda l’adeguamento degli edifici rispetto alla normativa antisismica. Infatti più del 60% degli edifici esistenti è stato realizzato prima della legge antisismica del 1974. Le norme Tecniche per le Costruzioni considerano interventi di consolidamento a sezione composta o mista e sono più di 7 milioni gli edifici che necessitano di un intervento di messa in sicurezza. Fino al 1974 i comuni venivano classificati in diverse classi di rischio, principalmente dovute anche al verificarsi di eventi sismici, fino all’introduzione in quell’anno dell’obbligo di classificarli sulla base di conoscenze e motivazioni tecnico-scientifiche. Si arriva quindi alla classificazione del territorio in 3 categorie di rischio, che però diventano 4 nel 2003, con la scomparsa delle aree “non classificate”.
Un’ultima considerazione riguarda la quantità di edifici per i quali è già stato svolto un intervento ma nel modo sbagliato. In questi casi i danni possono essere di grande entità e rendere un secondo intervento ancora più complicato, per pericoli statici o tecnici. Può essere che un’errata valutazione della struttura e dei carichi applicabili comporti gravi conseguenze, così come interventi irreversibili possono causare la perdita di manufatti o di elementi di grande valore storico. Nel nostro Paese i casi non mancano e maggior ragione si dovrebbe sottolineare l’importanza di poter contare su degli operatori qualificati e competenti, sia in fase progettuale che esecutiva.
Più sano ed efficiente
L’Europa ha intrapreso un percorso per raggiungere precisi ed ambiziosi obiettivi di risparmio energetico, riduzione di emissioni di gas serra e un uso razionale delle risorse. Gli stati membri si sono allineati a questa tendenza e nel nostro Paese l’argomento è di grande attualità. La sensibilità al tema è notevolmente aumentata, sia nell’utente finale che negli operatori del settore. L’aver reso obbligatori una serie di interventi e adeguamenti, ha fatto sì che la qualificazione energetica del costruito (e ovviamente lo stesso vale per le nuove realizzazioni) non sia più conseguenza di attenzione particolare di un soggetto personalmente molto sensibile al tema ma una prassi regolare. Gli interventi di nuova realizzazione, inoltre, rappresenteranno solo una piccola parte dell’intero patrimonio, che è per la maggior parte costituito da edifici esistenti, anche molto vecchi. Un edificio degli anni ’30 incorrerà inevitabilmente nell’esigenze di una ristrutturazione, sia strutturale che energetica. Nel momento in cui si metterà mano a questi immobili, sarà obbligatorio adeguarli a tutte le normative vigenti e si auspica che un giorno – magari non troppo lontano – la quasi totalità possa essere confrontata con edifici di nuova realizzazione.
Un vero approccio sostenibile vuole che la riqualificazione del singolo edificio sia integrata in un progetto di più ampio respiro. In Italia sono indispensabili processi di rigenerazione che non siano composti da interventi isolati e puntuali, ma che abbiano un ampio respiro. Una visione complessiva e a lungo termine che permetta una maggiore qualità urbana e un approccio sostenibile.
Recentemente il presidente del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservstori Giuseppe Cappochin si è espresso in questo modo: “Un coordinamento strategico di ampio respiro che delinei politiche urbane di lungo periodo in grado di realizzare, attraverso nuove norme urbanistiche, la rigenerazione urbana sostenibile congiuntamente allo stop al consumo di suolo, all’efficientamento energetico, a misure per favorire l’inclusione sociale: di questo ha bisogno il Paese perché se prende il via una vera e propria rigenerazione delle nostre città, riparte l’edilizia e di conseguenza l’intera economia del Paese. Farlo significa costruire una nuova visione del futuro delle aree urbane che metta al centro i cittadini e che renda le nostre città protagoniste della competizione internazionale sul terreno della capacità di attrazione degli investimenti”.
La riqualificazione energetica è incentivata con detrazioni fiscali e agevolazioni. Nel 2016 è stata confermata e rinnovata questa direzione, con la proroga della detrazione fiscale fino al 65% per gli interventi di efficienza energetica degli edifici, l’estensione delle agevolazioni ad ulteriori casi e l’attenzione alla riqualificazione di parti condominiali. Si ampliano gli incentivi anche alle spese sostenuti per installazioni di impianti domotici e si da la possibilità di usufruire dell’ecobonus anche agli Isituti autonomi per le case popolari. Gli interventi interessati riguardano riqualificazioni globali dell’edificio, interventi sull’involucro, sistemi di produzione di energia da fonte rinnovabile, interventi sugli impianti.
Il dispendio di energia principale è dovuto al riscaldamento e gli interventi da realizzare per una riqualificazione energetica devono puntare al miglioramento delle prestazioni dell’involucro edilizio (sia opaco che trasparente), prevedere la sostituzione dei vecchi impianti con sistemi nuovi ed efficienti (climatizzazione invernale ma anche estiva, illuminazione, aerazione) e il controllo di tutte le componenti e i sistemi attivi presenti nell’edificio.
Un trampolino di ri-lancio
Il settore edilizio vive ormai da anni un periodo di grandi difficoltà. Si parla di crisi, di cambiamento, di punto di ripartenza per dar vita ad un settore che deve necessariamente rinnovarsi. Una spinta interessante arriva sicuramente dal restauro e dal recupero, che possono diventare trampolino di ri-lancio per l’intero settore. Si tratta di un’occasione che non può che essere colta al volo, soprattutto anche per lo slancio dato dagli incentivi per la riqualificazione energetica. L’Unione Europea incoraggia gli stati membri ad accogliere la sfida dell’innovazione, rinnovando il proprio comparto edilizio e puntando sulla riqualificazione del costruito. La quota di lavori incentivati nel biennio 2013-2014 è pari al 60% del totale realizzato nell’edilizia residenziale (28,5 miliardi dei quali 24,5 relativi a ristrutturazione edilizia, 3,9 per la riqualificazione energetica): anche se vi sono ulteriori spazi di utilizzo delle detrazioni, si conferma l’effetto positivo della presenza degli incentivi per la crescita degli investimenti in rinnovo.
Le prospettive di sviluppo non sono solo in termini energetici, ma si raccoglieranno risultati positivi anche in ambito sociale ed economico. Si può garantire una qualità di vita e di comfort molto più elevato, dando la possibilità alle persone di vivere in ambienti salubri e rinnovati. Allo stesso tempo il recupero permette di aumentare la quantità di lavoro di imprese e aziende del settore, aiutando a rilanciare efficacemente il sistema paese. Infatti le ristrutturazioni rappresentano ormai circa il 70% del mercato dell’edilizia residenziale e la necessità di dare risposta alla necessità di adeguare un patrimonio ormai obsoleto porterà sempre più possibilità di crescita.
Le elaborazioni del Centro Studi FederlegnoArredo confermano peraltro il buon andamento della riqualificazione. Secondo ANCE, che rileva solo gli investimenti incrementali del patrimonio immobiliare (nuove costruzioni più manutenzione straordinaria) gli investimenti in Costruzioni nel 2016 torneranno a crescere, raggiungendo i 132,5 miliardi di euro oltre metà dei quali destinati all’edilizia residenziale.
A tenere negli ultimi anni, sono stati gli investimenti in manutenzione straordinaria delle abitazioni, con incrementi che si sono sempre susseguiti anno dopo anno. Anche nel 2015 le stime dell’ANCE evidenziano un segnale positivo: + 3,6% rispetto all’anno precedente mentre gli investimenti in nuove abitazioni continuano a registrare un lieve calo (- 1,5%). Complessivamente, tra il 2007 e il 2015 gli investimenti in manutenzione straordinaria delle abitazioni sono aumentati del 39% a prezzi correnti, in continua crescita e in netta controtendenza rispetto alle nuove abitazioni, superandole in valore.
Il valore degli investimenti per il rinnovo (comprensivo di manutenzioni straordinarie, ordinarie e opere del Genio Civile) del patrimonio edilizio 2014, sia residenziale che non, è valutato da Cresme in 117,3 miliardi di euro (+0,4% rispetto al 2013). Anche in questo caso le attività di manutenzione rappresentano una quota pari a circa il 70% della produzione totale, suddivisa tra ordinaria – 31% - e straordinaria – prevalente, con il 69% del totale e in crescita costante con un incremento del +0,9% rispetto al 2013.
Interessante notare che le spese di rinnovo straordinarie destinate all’edilizia residenziale trainano gli investimenti: nel 2014 (ultimo dato disponibile) registrano un incremento del 19,4% rispetto al 2013, attestandosi a 47,3 miliardi di euro mentre il dato complessivo delle manutenzioni straordinarie ha una variazione complessiva solo dello 0,9%.
Per il 2016 Cresme prevede un nuovo incremento degli investimenti in rinnovo (+2,4% a prezzi costanti), trainato dal residenziale (+1,5%) ma soprattutto dal non residenziale (+3,7%), con riferimento particolare a progetti pubblici e specialmente di ingegneria civile, garantendo nuova linfa e vitalità al settore.