Gli aspetti delle infrastrutture e nuovi investimenti
Viabilità, sicurezza, spazi verdi e comunicazione urbana: osserviamo con quali mezzi oggi in Italia si propizia e pilota una rigenerazione urbana consapevole.
Viabilità
Molte sono le declinazioni operative di chi è preposto a curarsi della viabilità. Tali uffici si occupano di costruzione e manutenzione del sistema di circolazione, ciclabilità, navigazione, trasporti e logistica. Si tratta d’interventi su buche, parapetti, muri, ponticelli, cunette, piccole frane, oltre all’igiene stradale e alla cura delle essenze arboree e quella delle pareti rocciose. La manutenzione riguarda, inoltre, opere d’illuminazione delle gallerie e la posa della segnaletica stradale orizzontale e verticale. A ciò si aggiungano la cura e la prevenzione della viabilità invernale e le concessioni e autorizzazioni per i trasporti eccezionali.
Non solo: altrettanto centrale è la modellistica (micro e macro simulazione) e la valutazione del traffico, attraverso analisi quantitative e comparate di alternative progettuali riguardanti l'assetto viabilistico. Infine, Il settore viabilità recupera finanziamenti statali e regionali, in conto capitale e in conto esercizio.
I Comuni più attenti al tema della sostenibilità, si sono dotati addirittura di uno specifico PUMS (Piano Urbano Della Mobilita Sostenibile), al fine di ridurre l'uso dei veicoli privati e delle merci, migliorare la sicurezza stradale e la qualità dell'aria, abbattere l’inquinamento acustico e favorire l’uso del trasporto collettivo. Il tutto in un traguardo temporale di circa 10-15 anni. Davvero copiose le iniziative attuabili in tal senso: ZTL, interscambi, mobilità alternativa (Bike sharing e Car sharing in primis); piattaforme multicanale d'informazione all’utenza; centrale operativa della mobilità (C.O.M.); smart parking; colonnine di ricarica; riqualificazione energetica degli impianti di pubblica illuminazione e semaforici e la progettazione e realizzazione di interventi di smart lighting in grado di gestire funzioni di telecontrollo.
La sicurezza integrata è intesa quale insieme d’interventi da parte delle Istituzioni al fine di concorrere a migliorare la qualità della vita e del territorio e di favorire l’inclusione sociale e la riqualificazione socio-culturale delle aree interessate. La sicurezza, infatti, è un bene pubblico, che dà vivibilità e decoro alle città.
A fondamento di tutto, vi è un virtuoso scambio informativo e tecnologico tra polizia locale e forze di polizia presenti in città. I sistemi di videosorveglianza fissa e mobile, per esempio, implementano procedure di controllo filtrate e automatizzate in base a diverse variabili quali l’orario, il tipo di eventi e i fattori di rischio.
I software delle centrali operative, grazie alla sensoristica in campo, monitorano gli eventi e gestiscono il coordinamento di tutte le forze. A ciò si aggiunge un necessario aggiornamento professionale integrato per gli operatori.
Inoltre, per riqualificare e recuperare le aree o i siti più degradati urge un’attività teorica di promozione del rispetto della legalità e di prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio. Occorre infatti eliminare i fattori di marginalità e di esclusione sociale e affermare più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile.
Il piano del verde urbano riveste un’estrema importanza ecologica ed economica nella gestione e nello sviluppo cittadino: esso assicura la continuità percettiva dell’identità paesaggistica dei luoghi. In effetti, il verde urbano non è un riempitivo di spazi non edificati, ma un tessuto paesaggistico che penetra nell’edificato o, meglio, s’identifica con quella matrice paesaggistica in cui i centri urbani sono accolti e si sviluppano.
I punti chiave di un piano del verde sono consonanti a quelli delle pianificazioni fin qui esaminate:
1. progettazione;
2. gestione;
3. formazione degli addetti;
4. manutenzione;
5. produzione del materiale vegetale;
6. la scelta del materiale inerte e di arredo.
Attraverso un piano del verde si definiscono le tipologie di verde urbano sulla base delle loro funzioni, con riguardo alla qualità e alla quantità dei parchi urbani, che devono essere particolarmente assicurati per poter ostacolare la fuga alla volta di luoghi più idonei alla componente biologica della natura umana. Tale fenomeno, infatti, incide sulla qualità ambientale a scala territoriale, producendo flussi talvolta abnormi di automezzi con dispersione di energia e carichi di emissioni in atmosfera e scaricando, su ambienti magari sensibili, una concentrazione molto alta di persone in modo improvviso.
Il contributo dell’architettura del paesaggio e dei professionisti paesaggisti (architetto paesaggista, agronomo e forestale paesaggista ecc.) è, in sintesi, rivolto al miglioramento della qualità della vita e dell’ambiente urbano, attraverso tutti quegli elementi che compongono la diffusione del verde. Tale contributo ha inoltre il preciso intento di stabilire un equilibrio ecologico ed economico capace di comunicare, attraverso uno scambio di energia, il benessere fisico e psicologico a tutti coloro che, inevitabilmente, sono parte integrante del sistema paesaggio.
È allora evidente quanto il piano del verde urbano rappresenti l’unico strumento capace di assicurare ai Comuni, e alla PA in genere, una corretta gestione del patrimonio paesaggistico locale e di contribuire all’equilibrio ecologico e economico dei territori comunali anche attraverso un incremento dell’occupazione.
Comunicazione visiva e arredo urbano
L'analisi del territorio, della sua rete viaria e delle sue zone di pregio culturale e naturalistico aiuta il progettista a pianificare la collocazione degli elementi di segnaletica urbana. Il coinvolgimento di tutte le parti facenti parte del tessuto cittadino (negozi, ristoranti, bar, musei, enti e così via) permette la concertazione di un progetto arricchente per la popolazione e – nelle intenzioni dei gestori, soprattutto – per i turisti.
La comunicazione urbana, infatti, è quella comunicazione con cui una città guida gli utenti e, al contempo, esprime se stessa, si fa conoscere, apprezzare, rispettare. Si pensi alle funzioni e alle potenzialità di segnaletiche informative, cartellonistica, infografica, leggii, bacheche, carte e mappe, decorazioni murali, frecce direzionali, totem, bandiere, panchine stampate, toponomastica, targhe, insegne murali, bandiera, allestimenti di rotonde di ingresso in città. A tutto ciò, ovviamente, dobbiamo ormai aggiungere i social media, strumento formidabile di coinvolgimento di tutti gli avventori della città e di comunicazione dei grandi cambiamenti urbani.
Ancora la cartellonistica può divenire sostenibile, attraverso strategie particolari, come i reverse graffiti, detti anche clean advertising. Questa tecnica permette di realizzare immagini sul piano dell’asfalto o su pareti, tramite stencil e di idropulitrici ad acqua piovana. Il risultato è un contrasto tra la superficie sporca e quella pulita del graffito, grazie alla quale si rende visibile una particolare figura, immagine o scritta.
Tutto ciò rientra nell’alveo più esteso del cosiddetto “arredo urbano”, cioè di quella sezione della pianificazione urbanistica che si occupa delle problematiche e del disegno di qualsivoglia manufatto fisso o mobile a destinazione pubblica come complemento del disegno urbanistico ed architettonico. L’elenco è difficile da completare: oltre la citata cartellonistica, si pensi a spazi a verde pubblico (anche attrezzati), piazze, piste ciclabili e pedonali, dissuasori di sosta fissi e retrattili, illuminotecnica, cabine telefoniche (ormai in disarmo), postazioni per le biciclette, barriere pedonali, torrette a scomparsa, panchine, fioriere, cestini ecc.
L’arredo urbano svolge un ruolo fondamentale per la qualità delle città e delle periferie. Esso non è semplicemente la diffusione di oggetti casuali nelle strade, ma il risultato di uno studio integrato tra aspetti estetici e pratici all’uso della città, con la finalità di aumentare la qualità e la fruizione degli spazi pubblici, oltre che, ci ripetiamo, di dotare la città di un immagine propria.
Di pari rilievo alla funzione estetica è però la funzione di pianificazione dello spazio attraverso la creazione di percorsi pedonali, di aree di sosta, divieti di passaggio e, al contrario, inviti e obblighi a seguire percorsi preordinati.
Le risorse per le infrastrutture e il Piano "Italiasicura"
Nel cuore della crisi, le finanze cittadine sono state caratterizzate da instabilità, tagli dei trasferimenti finanziari dello Stato, recessione del mercato immobiliare, nonché dal crollo della spesa per investimenti, tradizionalmente attivata dai comuni.
In questo contesto, nel 2008 il piano regolatore del comune di Roma aveva previsto un contributo straordinario dovuto per alcune tipologie di trasformazioni urbanistiche, fissando entro il 66 % la quota dell’aumento di valore da trasferire dal privato al comune. La norma è stata in seguito inserita nella legislazione speciale per Roma Capitale.
Nel 2014 il contributo straordinario è diventato una norma nazionale, con la legge 11 novembre 2014 n. 164. Secondo la norma, le amministrazioni comunali, oltre ad applicare gli oneri di urbanizzazione stabiliti con deliberazione del consiglio comunale sulla base delle tabelle parametriche regionali, devono valutare il maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso. Il maggior valore è calcolato dall’amministrazione comunale e suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata e da quest’ultima versato alle casse comunali sotto forma di contributo straordinario.
Dal 2016, poi, il progetto e l'esecuzione dei lavori pubblici è disciplinato dal nuovo codice degli appalti (Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50) aggiornato con le modifiche introdotte dal Decreto correttivo (Decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56) e Decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito dalla Legge 21 giugno 2017, n. 96 ed infine aggiornato alla legge di Stabilità 2018 (legge 205/2017).
In generale, il tema della gestione degli appalti pubblici è decisivo, proprio poiché il problema del reperimento di risorse economiche per la realizzazione di opere pubbliche ha fatto sì che si sviluppassero tecniche di finanziamento che coinvolgessero anche soggetti privati.
Tra queste tecniche si distingue la finanza di progetto, che in Italia ha trovato spazio prevalente, per l’appunto, nella realizzazione di opere di pubblica utilità. In questa configurazione di project financing i soggetti promotori propongono alla PA il finanziamento di un'opera pubblica, in cambio degli utili derivanti dai flussi di cassa (cash flow) generati dalla gestione dell'opera stessa.
Sia permesso, infine, un breve approfondimento su delle infrastrutture cruciali, quelle atte a contenere e prevenire il dissesto idrogeologico del Paese.
Nel maggio 2014 il governo Renzi ha varato il Piano nazionale "Italiasicura", la Struttura di missione ideata per raccogliere e gestire stanziamenti per la sicurezza del suolo, contro il dissesto idrogeologico. Il piano avrebbe dovuto muovere i primi concreti passi nel 2015, dopo la delibera Cipe, e nondimeno è partito alla fine del 2016, a scartamento ridotto. Solo il 10 maggio 2017 è stata presentata a Palazzo Chigi la mappa di 11.108 cantieri e del relativo fabbisogno finanziario (29 miliardi di euro). A partire da quella data, è possibile affermare che l’Italia si è dotata di un piano nazionale di opere e interventi e di un piano finanziario per la riduzione del rischio idrogeologico. Tuttavia, ancora a settembre 2017, appena il 6 % degli interventi necessari e prioritari erano corredati di un progetto esecutivo. Nella quasi totalità dei casi si parlava ancora di "progetti preliminari", "studi di fattibilità", "fasi istruttorie"; rari i progetti "definitivi", pochissimi, appunto, gli "esecutivi".
Il paradosso non consiste, come potrebbe parere, nella reperibilità dei fondi, bensì nella lentezza con cui li si utilizza. Oltre agli stanziamenti per "Italiasicura", infatti, lo Stato vanta un tesoretto da 2,2 miliardi incagliato da anni nei bilanci degli enti locali, 100 milioni per il sostegno alle progettazioni, bloccati da un anno e mezzo al ministero dell'Ambiente, senza contare un prestito da un miliardo della BEI, Banca europea degli investimenti, allora intonso da due anni. Le concause di tali ritardi sono da ritrovare nelle inerzie degli uffici tecnici locali, ma forse ancor più nella dinamica dei bandi di gara, con i suoi ricorsi e le sue tortuosità.
Tirando le somme, a settembre 2017, 8 risultavano i miliardi nel carniere, tra fondi europei, nazionali e regionali, a fronte di 100 milioni realmente spesi.
Nel novembre 2017, il Ministero dell’Ambiente ha finalmente finanziato il primo stralcio del fondo progettazione per gli interventi contro il dissesto idrogeologico, assegnando 5,7 milioni di euro a cinque regioni italiane (Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Veneto e provincia autonoma di Bolzano), fondi che permetteranno di concretizzare opere per quasi 280 milioni sul territorio.
La Manovra (Legge di stabilità) 2018 ha quindi sbloccato il citato miliardo di euro della BEI. Grazie al provvedimento, nei prossimi 10 anni prenderanno il via centinaia di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico su un'ampia area del paese che comprende tutte le regioni del centro nord. Tutto ciò con l’imperativo di abbandonare la logica dell’emergenza, per fare propria quella della prevenzione.
Tali, dunque, sono i segnali da poter affermare che la cantierizzazione pesante, attuatrice del piano anti-dissesto, è iniziata e si dipanerà tra il 2018 e il 2019, al pari, non stupisce, dell’auspicato boom generale in infrastrutture dal quale hanno preso le mosse tutte le nostre considerazioni.
A inizio febbraio 2018, l’ateneo LUISS ha presentato la III edizione dello studio "Gli investimenti in infrastrutture", nato dalla collaborazione fra il CASMEF LUISS Centro Arcelli per gli Studi Monetari e Finanziari e Deloitte Financial Advisory.
Sono stati dapprima illustrati i risultati della ricerca economica sul rapporto fra infrastrutture e distribuzione del reddito. La prima, decisiva, constatazione è che una maggiore dotazione di infrastrutture pubbliche riduce la disuguaglianza tra i cittadini.
Investire in infrastrutture, dunque, oltre all'impatto sul settore delle costruzioni e in generale su occupazione e crescita economica, ha un impatto positivo anche in termini di riduzione delle disuguaglianze. A parità di altre condizioni, infatti, province più dotate d’infrastrutture sono caratterizzate da una più equa distribuzione del reddito.
Riducono la disuguaglianza principalmente le infrastrutture energetiche e di viabilità (strade, ferrovie, metropolitane, porti, aeroporti); per contro, talvolta le infrastrutture tecnologiche, le reti bancarie e le infrastrutture culturali/ricreative sembrano favorire le classi di reddito già più alte e dunque accentuare le disuguaglianze.
A onor del vero, tuttavia, corre l’obbligo di sottolineare che lo studio non ha contemplato infrastrutture chiave, quali scuole, università e ospedali.
Dato di assoluta rilevanza, la disuguaglianza di reddito delle province meridionali rispetto a quelle centro-settentrionali sembra dipendere addirittura per un terzo proprio dalla più modesta dotazione infrastrutturale del Sud.
A seguire, prendendo le mosse dai vincoli di bilancio che frenano la spesa pubblica, lo studio Deloitte/LUISS ha indagato i risultati della survey sul sentiment degli investitori finanziari in infrastrutture, in termini di preferenze settoriali, valutazione del rischio e rendimenti attesi.
All'interno dell'Europa occidentale, Germania, Scandinavia e Regno Unito rimangono i Paesi più attrattivi, ma si registra una ripresa d’interesse verso Italia e Spagna.
La criticità italiana più respingente, alligna nel rischio politico (per il 38% degli intervistati) e quello regolatorio (35%), cioè il rischio legato all'incertezza sulle regole, i contratti e la disciplina del settore specifico.e quello regolatorio. Del resto, questi due problemi sono da sempre stigmatizzati in tutti i paesi come il peggior vulnus per chi investe a lungo termine capitale di rischio in infrastrutture, esistenti o da realizzare. Seguono a distanza il rischio percepito legato alla gestione (15%), il rischio fiscale (7%) e quello di rifinanziamento (5%)