Le costruzioni in Italia: tra presente e futuro; prospettive e scenari di Sviluppo Sostenibile

Editoriale a cura di Federico Filippo Oriana, Vicepresidente di GBC Italia.
Occorre riconoscere, anche da parte di “immobiliaristi” di lungo corso come il sottoscritto, che l’innovazione del prodotto immobiliare è diventata condizione essenziale per la crescita -se non addirittura per la stessa sopravvivenza- del settore immobiliare-costruzioni. Innovazione sia in senso green che tecnologico, anche perché i due profili si sostengono e si inverano reciprocamente.

E questo in due sensi, uno più importante dell’altro: sicuramente dal punto di vista commerciale perché la clientela -soprattutto quella giovanile e urbana- pretende sempre di più prodotti ecologici e performanti energeticamente. Ma anche dal punto di vista della fattibilità stessa degli interventi di realizzazione immobiliare: perché un contesto socio-politico-culturale e civile-metropolitano sempre più attento e critico potrebbe non approvare più le grandi e medie operazioni immobiliari se non progettate e realizzate con una declinazione fortemente green sui materiali, energeticamente performante ed esteticamente significativa, valori tutti che solo l’innovazione tecnologica di processo e di prodotto (softwares progettuali, materiali, impianti, sistemi) può assicurare.

Ciò a cui bisogna tendere non è l’introduzione di una tecnologia ma della tecnologia nella realizzazione immobiliare che di sua natura sarebbe il più tradizionale (e quindi meno tecnologico) dei prodotti industriali. Cosa intendo dire? Prendiamo ad esempio il BIM come attuale stato dell’arte della migliore progettualità e gestione del cantiere: un giorno il BIM potrà essere superato così come è stato per il CAD che 35 anni fa sembrava aver aperto una frontiera infinita, oppure vi sarà il BIM 6D di cui già si sta parlando… ma ciò che occorrerà sempre per i motivi anzidetti sarà l’innovazione tecnologica, ossia nuove tecnologie a tutto campo di prodotto e di processo anche in edilizia.

Ho l’onore di rappresentare -all’interno del vasto mondo immobiliare- una categoria, quella degli sviluppatori immobiliari, che nella sua ultima generazione sta facendo cose straordinariamente innovative, in particolare a Milano: edifici che trasferendo la cubatura verso l’alto lasciano a terra spazi per piccoli parchi diffusi pubblici e privati, che riescono ad essere energeticamente neutri se non con saldo positivo (ossia che restituiscono alla comunità più energia di quanto ne consumino) e con emissione atmosferica zero di CO2, costruiti con materiali ecologici e/o riciclabili, oltre all’aspetto della qualità estetica. Che contrariamente a quanto si pensa abitualmente, non è una questione -sempre soggettiva- di percezione del bello, bensì una restituzione di “urbanità” (ossia di servizi per le comunità), un surplus per le persone derivante dalla progettazione del complesso immobiliare che si realizza in rapporto con il contesto che lo circonda (come l’esperienza in particolare anglosassone ci insegna).

I criteri ESG -che l’Unione Europea e, soprattutto, la cultura moderna chiedono di introdurre in tutti i business- nel nostro settore si declinano fondamentalmente in sostenibilità e sicurezza sul lavoro nelle costruzioni: ebbene entrambi questi requisiti-base per assicurare un futuro al nostro mestiere possono essere raggiunti solo con l’innovazione tecnologica.

In questo senso il ruolo di Green Building Council Italia può essere veramente prezioso, se non indispensabile: quello che la nostra Associazione -di origine statunitense, ma oramai fortemente radicata in Europa e in Italia- può dare è la coniugazione pro-attiva di fattori diversi, in apparenza contrastanti ma in realtà necessariamente convergenti per il benessere delle persone, singole e aggregate in comunità urbane: l’industria che produce materiali e impianti per l’edificio, la transizione ecologica, l’efficientamento energetico, la certificazione degli edifici, l’immobiliare e l’edilizia (attività sicuramente imprescindibili), ma arricchite dalla dimensione ESG.

Nel valutare le prospettive ESG e di sostenibilità socio-ambientale dell’immobiliare occorre, peraltro, andare oltre la prospettiva ristretta del singolo edificio, guardando al contesto metropolitano nel quale l’edificio va a collocarsi. Di qui la prospettiva della cosiddetta rigenerazione urbana -con le sue implicazioni in termini di sostituzione edilizia e di recupero territoriale- che richiede strumenti di intervento molto più ampi del problema del singolo edificio, anche se in ultima analisi viene a comporsi poi di specifici stabili. Ebbene, una prima considerazione è che la rigenerazione urbana -essendo fondata sempre sul recupero di aree dismesse- richiede quasi sempre la bonifica delle aree e interventi di demolizione con tutti gli extra-costi connessi, che non esistono invece costruendo sul greenfield. Ma nessun particolare strumento di compensazione di questi extra-costi esiste attualmente né in Italia né in Europa.

Non mi sorprende l’Italia -con il deficit strutturale di risorse finanziarie di Stato ed enti locali-, ma sono invece colpito che l’Europa persegua in chiave solo normativa (la cosiddetta Direttiva Green) l’esigenza della transizione green del patrimonio immobiliare -in particolare residenziale-, non prevedendo però una dotazione finanziaria adeguata al conseguimento degli obiettivi che si prefigge. Come invece ha saputo fare su altri obiettivi con il programma Next Generation EU. Il problema della conversione ambientale del patrimonio edilizio -esistente o da realizzare- è invece gigantesco. Per dare un’idea sui numeri, utilizzando una quantità di risorse finanziarie di dimensioni per noi ciclopiche  -che hanno danneggiato le finanze pubbliche italiane in misura insostenibile, più di 100 miliardi di “buco” netto- si sono aggiornati energeticamente circa 450.000 unità immobiliari, mentre la valutazione governativa è che ve ne siano circa 20 milioni da recuperare per portare il patrimonio immobiliare italiano al livello richiesto dalla direttiva green. Fatte le proporzioni occorrerebbero tra i 4500 e i 5000 miliardi di euro, cioè circa il doppio del debito pubblico italiano, importo di denaro inesistente in Italia anche sommando alle disponibilità pubbliche tutta la finanza italiana privata.

In conclusione, quindi, pensando di affrontare il problema tutto insieme, siamo di fronte ad un fabbisogno finanziario che nemmeno l’Unione Europea potrebbe fornire, mentre agendo gradualmente su due fronti -da un lato incentivando la nuova edilizia privata, dall’altro favorendo il progressivo miglioramento energetico del patrimonio esistente- si potrebbe in una ventina di anni rendere l’Europa il continente con la migliore performance ambientale del costruito del pianeta.
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