Siccità: mancano 8,2 mld di investimenti in reti idriche

Presentata in Parlamento la relazione del Centro Studi ANCE sul contrasto della scarsità idrica, serve velocizzare gli interventi e semplificare procedure prima delle gare.
Si è svolta il 4 maggio l’audizione dell’ANCE in videoconferenza, presso le Commissioni riunite Ambiente e Industria del Senato, sul DDL di conversione del DL 39/2023 recante “Disposizioni urgenti per il contrasto della scarsità idrica e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche“ (DDL 660/S). Il Vicepresidente Centro Studi, Ing. Piero Petrucco, ha illustrato, in apertura, alcuni dati riassuntivi del quadro complessivo attuale.

Le maggiori criticità risultano concentrate nelle aree del Mezzogiorno. I valori più rilevanti delle perdite si riscontrano in Basilicata (62,1%), Abruzzo (59,8%), Sicilia (52,5%) e Sardegna (51,3%). Di contro, tutte le regioni del Nord hanno in livello di perdite inferiore a quello nazionale ad eccezione del Veneto (43,2%) e del Friuli-Venezia Giulia (42%), in linea con il dato nazionale. Nel 2021 sono aumentati i comuni capoluogo di provincia o città metropolitane che hanno attuato misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile. Il razionamento ha coinvolto anche un comune del Nord, Verona, e un comune del Centro, Prato. Criticità si riscontrano anche nell’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione che hanno portato l’Italia ad essere oggetto di pesanti procedure di infrazione europee (939 agglomerati in infrazione di cui il 73% nel Mezzogiorno). La fotografia fornita testimonia l’inadeguatezza delle dotazioni infrastrutturali, risultato di un livello di investimenti nel settore ancora insufficiente.

Secondo l’ultimo Blue Book 2023, nel 2021 gli investimenti realizzati dai gestori industriali si sono attestati su un valore pro capite di 56 euro per abitante, confermando un andamento virtuoso avviato dal 2012, ma ancora lontano dai livelli di investimento di numerosi Paesi europei. Il livello di investimenti si trova, infatti, molto al di sotto della media quinquennale europea che, al 2021, risulta pari a 82 euro per abitante. Per quanto riguarda le gestioni in economia, dove il servizio è direttamente gestito dai Comuni localizzati per lo più nel Mezzogiorno, gli investimenti pro capite realizzati si attestano su un valore medio di 8 euro per abitante, pressoché invariati negli ultimi anni. Il quadro appare ancora più preoccupante se si considerano i dati Eurostat relativi agli investimenti fissi lordi in costruzioni nel settore idrico e della gestione dei rifiuti che comprendono tutti quegli investimenti relativi ad infrastrutture per la fornitura di acqua, il trattamento delle acque reflue ma anche quelli per la gestione di tutti rifiuti solidi e non (raccolta, trattamento e smaltimento). In Italia, si osserva come gli investimenti in tale settore abbiano avuto un andamento altalenante negli ultimi 20 anni. In particolare, dal 2015 al 2017 si assiste ad una repentina crescita, che riporta gli investimenti ad un ammontare simile agli anni precedenti alla crisi.

Si tratta degli anni di piena operatività della Struttura di Missione #ItaliaSicura, istituita a maggio 2014, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con l’obiettivo di compiere una ricognizione sullo stato delle opere di mitigazione del rischio idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche al fine di accelerarne la realizzazione, di avviare una nuova programmazione pluriennale e di ridefinire una governance degli interventi più efficace e trasparente. L’andamento positivo degli investimenti si arresta però nel 2018, proprio in concomitanza con la soppressione della Struttura di Missione, quando si avvia una discesa degli investimenti che, nel 2020, raggiungono un valore molto vicino al minimo del 2014.

In questo contesto il PNRR può offrire una prima accelerazione significativa degli investimenti del settore che, secondo quando indicato nell’Allegato infrastrutture al DEF 2023, presenta un fabbisogno pari a circa 13,3 miliardi. A fronte di tale fabbisogno, che peraltro non considera gli incrementi determinati dal caro materiali, le risorse disponibili e già ripartire o programmate ammontano a 5,1 miliardi. Pertanto, al momento, il settore prevede un fabbisogno complessivo pari a circa 8,2 miliardi di euro. Un ammontare di risorse che è destinato ad aumentare, non solo per effetto dei rincari delle materie prime, ma anche a seguito della pianificazione degli investimenti su scala nazionale, disposta dal Decreto-legge n. 121/2021, in attuazione della riforma prevista nel PNRR, finalizzata a semplificare la normativa e rafforzare la governance del settore. Per la programmazione e la realizzazione degli interventi necessari alla mitigazione dei danni connessi al fenomeno della siccità e per promuovere il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche, la riforma prevede la definizione di un Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico, un unico strumento di programmazione delle infrastrutture idriche, con una visione di medio e lungo termine, da attuare per stralci in funzione delle risorse disponibili. Le procedure di formazione del Piano, secondo quanto indicato nell’Allegato Infrastrutture al DEF 2023, sono ancora in fase di avvio.

L’Ing. Petrucco ha quindi evidenziato il complessivo giudizio positivo dell’ANCE sul provvedimento ma, allo stesso tempo, la preoccupazione per il potenziale utilizzo di deroghe in fase di affidamento e di realizzazione delle opere che rischiano di inficiare il principio di concorrenza e la garanzia di una corretta esecuzione. Tra le misure condivisibili la scelta di prevedere una Cabina di regia per la crisi idrica, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, per la promozione degli interventi per il potenziamento delle infrastrutture idriche e il coordinamento delle attività dei molteplici soggetti pubblici e privati coinvolti nella loro realizzazione e gestione.

Rispetto alla realizzazione degli investimenti previsti dal PNRR, si riscontrano difficoltà attuative legate, analogamente agli altri investimenti del Piano europeo, alle gravi tensioni determinate dagli aumenti dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici che hanno determinato uno slittamento in avanti dei cronoprogrammi delle opere. Basti considerare che gli aumenti registrati negli ultimi due anni sono mediamente del 35/40%. A ciò si sono aggiunte le numerose e rilevanti criticità messe in luce dalla Corte dei Conti, nell’ambito del controllo concomitante. Un caso emblematico è rappresentato dagli investimenti in infrastrutture idriche primarie (M2C4.4-I.4.1), per i quali sono previsti 2 miliardi di euro. La linea di intervento ha visto una veloce programmazione e ripartizione dei fondi ai soggetti attuatori. Con il D.M. 16 dicembre 2021, n. 517 sono stati, infatti, individuati 124 interventi e assegnate le risorse ai soggetti attuatori.

La Corte dei conti ha messo in luce gravi carenze nella selezione dei progetti, effettuata frettolosamente in funzione della “cantierabilità” degli interventi e della loro coerenza rispetto agli obiettivi intermedi (target e milestone), nonché la “debolezza dei soggetti attuatori” e le “difficoltà tecniche dell’opera”. In merito alla debolezza dei soggetti attuatori, esemplificativo è il caso dell’intervento sulla Diga Rosamarina per il quale il soggetto attuatore ha più che triplicato il costo dell’intervento che è passato da 8 milioni di euro iniziali a ben 25,9 milioni. Un altro esempio è rappresentato dall’intervento Canale Fosso Vecchio, il cui costo è passato da 37 milioni a 61 milioni. Su tali incrementi ha pesato non solo il rincaro delle materie prime e dell’energia, ma anche la necessità di rimodulazioni progettuali, indice di un originario difetto di programmazione. E’ evidente che si tratta di vecchi progetti pronti che i soggetti attuatori hanno “tirato fuori dai cassetti” e che ora rischiano di esclusi dal finanziamento per carenze finanziarie. Un altro aspetto evidenziato riguarda le misure normative introdotte al fine di accelerare gli investimenti (potenziamento della capacità amministrativa, semplificazioni procedurali, limitazioni temporanee delle responsabilità amministrative) che, secondo la Corte dei conti, non hanno influito positivamente sul processo realizzativo, in assenza di una pianificazione e di un monitoraggio adeguato. Al riguardo i magistrati contabili esprimono perplessità in merito alla possibilità di introdurre “ulteriori semplificazioni e commissariamenti come via necessaria per attuare l’investimento, trascurando che queste misure dovrebbero costituire la extrema ratio piuttosto che un rimedio fisiologico per realizzare obiettivi sostanzialmente ordinari ed in gran parte risalenti nel tempo”.

Il decreto-legge 39/2023 rappresenta un ulteriore provvedimento governativo emanato con l’obiettivo di velocizzare la realizzazione di lavori pubblici, utilizzando modelli “speciali” rispetto alle procedure ordinarie previste dal Codice dei Contratti Pubblici. Sebbene sia assolutamente comprensibile l’intento di realizzare con rapidità gli interventi volti a contrastare la scarsità idrica, attraverso il potenziamento e l’adeguamento delle relative infrastrutture, non appare condivisibile l’applicazione di deroghe assai ampie, che impattano anche sulle procedure ad evidenza pubblica, riconducibili al c.d. modello “Genova”. Quest’ultimo, infatti, utile per risolvere l’emergenza eccezionale – un “unicum” – della ricostruzione del Ponte Morandi, non può diventare il parametro ordinario per ovviare a deficit di programmazione da parte della pubblica amministrazione. La mancata manutenzione ordinaria e straordinaria delle infrastrutture idriche occorsa in questi ultimi anni, come più volte sottolineato da ANCE, non può quindi costituire un motivo sufficiente. Naturalmente, per realizzare celermente tali interventi, è senz’altro indispensabile semplificare le procedure “a monte” della gara, relative alle fasi di programmazione e approvazione dei relativi progetti, analogamente a quanto avvenuto, a livello nazionale, per il Commissario per la tratta dell’Alta Velocità Napoli-Bari. La fase di affidamento e di realizzazione delle opere, però, dovrebbe avvenire nel pieno rispetto delle procedure previste dal Codice dei contratti e dalla legislazione ad esso connessa, in omaggio al principio di concorrenza ed a garanzia di una corretta esecuzione. Nel caso di specie, tuttavia, le deroghe “modello Genova” non sembrerebbero estendersi alla sola fase ”a monte” – soluzione, questa, assolutamente condivisibile – ma investire anche la fase di affidamento e, addirittura, a queste sembrerebbero sommarsi quelle previste per gli interventi del PNRR/PNC dal decreto n. 77/2021. Se così fosse, si verificherebbero un grave vulnus al mercato e alla concorrenza, con l’effetto di addebitare nuovamente alle imprese i ritardi dovuti alla mancanza di capacità progettuale dell’Amministrazione.

Per il dettaglio delle valutazioni e proposte ANCE sulle singole misure del provvedimento, si rinvia al documento consegnato agli atti delle Commissioni.
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