Oltre confine

Lavorare all’estero per una piccola impresa edilizia non è più una follia. Cinque anni di crisi impongono di cercare nuovi spazi e nuove aree di mercato. E le strade di percorribilità non sono precluse a nessuno
In questi anni di gravissima crisi per il settore edile italiano (dal 2008 al 2013 il calo registrato negli investimenti in costruzioni è stato pari al 30 per cento) è notevolmente cresciuta la quota di fatturato all’estero delle imprese di costruzione.
Tra il 2004 e il 2012 l’aumento è stato del 196,2 per cento (da 2,9 a 8,7 miliardi) così da rappresentare già nel 2012 (e il trend è in continua ascesa) la parte preponderante del fatturato totale (58 per cento) contro il 42 per cento di fatturato conseguito in Italia (6,2 miliardi nel 2012 contro i 6,5 del 2004). Lo sviluppo di politiche di internazionalizzazione sta divenendo, quindi, un obiettivo imprescindibile anche per le imprese pugliesi del settore delle costruzioni che non trovano più sul mercato domestico sufficienti opportunità di lavoro.
Ma, se sui dati numerici torneremo dopo, appare evidente come in uno scenario di crisi generalizzata, diventa imprescindibile la ricerca di vie d’uscita differenziate, ed è bene sottolinearlo, nel settore edile una delle strade storicamente meno battute e, forse per questo, con i maggiori margini di percorribilità, è quella del mercato estero.
Le ragioni di questo apparentemente scarso interesse nei confronti dei viaggi oltre confine sono diverse e includono anche le situazioni contingenti che intervengono in un’azienda che decide di strutturarsi per iniziare a lavorare all’estero, tra cui l’organizzazione logistica o il reperimento di personale preparato ad operare in specifiche aree geografiche. Certo è che l’edilizia ha sempre percorso poco e in maniera saltuaria il sentiero dei mercati esteri, un po’ per la tipologia stessa del lavoro, molto legata alla formazione in loco delle maestranze e di un know-how costruttivo non sempre esportabile, o almeno non in toto; un po’ per la tradizionale struttura delle imprese edili nazionali, le cui dimensioni sono difficilmente paragonabili a quelle della maggior parte dei Paesi esteri: da noi le piccole e medie impresa la fanno da padrone ed un impegno oltre confine a volte sembra non sostenibile proprio per ragioni logistiche e di barriere minime di ingresso al mercato. I lavori all’estero però sono e devono essere considerati come un’opportunità, perché il nostro modo di costruire non ha di certo nulla da invidiare in termini di tecnologie applicate e di organizzazione produttiva ad altre realtà più o meno vicine. L’attuale situazione economica di stallo generalizzato impone dunque anche a realtà di piccola e media dimensione di guardare oltre confine, cercando nuovi spazi e nuove aree di mercato.
La presenza delle imprese di costruzioni italiane all’estero è storicamente legata a interventi effettuati da grandi società e in particolar modo nel campo infrastrutturale (viadotti, strade, sistemi di trasporto eccetera), ma si stanno aprendo molti nuovi campi d’intervento: dall’edilizia turistica a quella abitativa, promossa in molti casi da interventi pubblici. Dalla nostra breve indagine, risulta chiaro come i punti fondamentali da analizzare per intraprendere un’operazione all’estero siano due: innanzitutto valutare se la propria azienda è in grado di affrontare tale situazione in maniera autonoma, se ne ha la forza sia dal punto vi vista economico che dal punto di vista organizzativo interno. In caso contrario è opportuno valutare sin da subito l’opportunità di muoversi tramite aggregazioni di imprese in cui ognuna delle società coinvolte si faccia carico di un singolo aspetto dell’operazione: logistica, fiscalità, presenza sul cantiere, gestione dei rapporti con la committenza eccetera.
Il secondo punto critico è costituito dalla costruzione della rete di contatti che permettano di accedere agli appalti e ai contratti. Si tratta di quell’opera di scouting veramente essenziale e che permette anche alle imprese di mediopiccole dimensioni di prender parte a gare per la realizzazione di opere residenziali, commerciali, industriali non proibitive ed in cui l’impresa stessa abbia la possibilità di proporre come carta vincente alla committenza la propria italianità nel costruire, il proprio know-how derivante dal nostro modo di costruire.
A questo proposito, possiamo individuare alcune macroaree in cui lo sviluppo economico e immobiliare ha dimostrato di avere eccellenti prospettive sul breve e medio termine.
Nord Africa e Paesi Arabi: prima delle recenti instabilità politiche che hanno interessato tutta l’area del Maghreb dall’Egitto alla Libia, proprio queste nazioni che si affacciano sul Mediterraneo costituivano uno dei mercati più interessanti per lo sviluppo immobiliare e infrastrutturale; sia per la vicinanza geografica al nostro Paese, sia per gli ottimi rapporti politici. Ora la situazione è sicuramente più complicata, ma se le difficoltà dovessero risolversi, almeno in alcuni dei Paesi maghrebini e medio-orientali, si aprirebbe di nuovo un mercato molto interessante per le imprese italiane. Caratteristica principale di questi mercati è il legame a doppio filo con gli asset politici di ogni nazione, per potersi inserire negli accordi istituzionali riguardo a masterplan generali di sviluppo: più che da investitori privati, infatti, in queste aree l’iniziativa economica è di carattere governativo.
Est Europa: è il mercato a noi più vicino, da quando si sono aperte le frontiere dell’ex blocco sovietico ha rappresentato un’importante opportunità per molto imprese italiane. Proprio per questo però, alcuni suoi mercati sono ormai già saturi (Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia) mentre altri (soprattutto la Russia e gli Stati confinanti) hanno ancora oggi notevoli margini di sviluppo. Tuttavia, in questi Paesi il progressivo avvicinamento all’Europa sta iniziando a porre delle barriere d’ingresso e delle regolamentazioni al mercato che in precedenza non si riscontravano.
Sudamerica: è una delle aree geografiche che sta affrontando il maggior sviluppo economico sia in termini di crescita di Pil su base annua, sia in termini di dotazione di infrastrutture. Si tratta cioè, a differenza di altre realtà, di una crescita strutturata, che sta cercando di estendersi dalle grandi metropoli alle aree suburbane. Paesi come il Brasile, il Cile, il Messico, forti delle importanti materie prime a loro disposizione si stanno imponendo sulle ribalta internazionale e il mercato immobiliare rappresenta in queste nazioni una delle principali fonti di investimento. I lati positivi delle possibilità di azione nei paesi sudamericani sono indubbiamente la relativa semplicità delle lingue parlate, una certa vicinanza culturale e rapporti di partnership storicamente già attivi che rendono le barriere di accesso al mercato più abbordabili. 
Cina e India: l’Estremo Oriente è senza dubbio il paradiso economico attualmente, in ogni settore. La numerosa popolazione e la grande deregolamentazione sono stati la forza della Cina in questi anni e continuano ad esserlo. Le possibilità di investimento sono molto ampie, ma proprio perché questo mercato fa gola a tutti, maggiori sono le difficoltà di crearsi uno spazio in un’area geograficamente lontana e ormai tecnologicamente invasa da tutte le maggiori aziende al mondo. L’India è ancora in una fase preliminare di sviluppo, ma nell’arco di qualche anno sarà un mercato importantissimo, supportato peraltro da un livello di competenze tecnico-scientifiche di primo ordine tra le generazioni più giovani.
Tornando ai limiti dimensionali, la nostra indagine evidenzia come per lavorare su mercati esteri, oltre a capacità tecnologiche e specialistiche, siano richieste competenze aggiuntive e integrate che coinvolgono la fase propositiva degli interventi, la capacità progettuale, realizzativa, finanziaria e gestionale. Per questo una maggior diffusione di reti permetterebbe alle Pmi – adeguatamente supportate da enti in grado di produrre strategie a medio termine e di attivare strumenti di penetrazione e di conoscenza dei mercati – di proporsi come interlocutori concorrenziali anche su livelli di mercati oggi poco accessibili. Opportunamente organizzate in rete le nostre imprese possono essere protagoniste e costituire un sistema capace di proporsi con un ruolo attivo e con caratteri specifici distintivi sul terreno dell’internazionalizzazione.

I numeri dell’Ance
I dati relativi alle imprese di costruzioni che hanno preso parte all’Indagine Ance 2013 sull’internazionalizzazione confermano la dinamicità del settore, nonostante la crisi in atto. Nel 2012, la crescita del fatturato prodotto oltreconfine è stata del 11,4 per cento, un dato che acquista ancor più valore se paragonato alla diminuzione del 4,2 per cento del giro d’affari prodotto in Italia. Nel periodo 2004-2012, l’estero è aumentato del 196,2 per cento complessivamente, vale a dire mediamente del 14,5 per cento ogni anno. Pochissimi settori possono vantare uno sviluppo del giro d’affari internazionale di queste dimensioni, che continuerà ad essere determinante anche in futuro, dal momento che nel corso del 2012 le imprese italiane sono riuscite ad acquisire ben 226 nuove commesse per un controvalore di oltre 12 miliardi. Ma l’internazionalizzazione ha portato ad uno sviluppo globale dell’attività. In questi anni, il settore è diventato molto selettivo nelle scelte d’investimento, un atteggiamento nuovo che ha determinato un vero e proprio riposizionamento geografico del portafoglio commesse:
analizzando i primi 10 mercati in cui si sono localizzate le nuove commesse, ben quattro appartengono all’Ocse (Stati Uniti, Grecia, Cile e Messico) e un altro fa parte dei Bric (Russia). Questo cambiamento ha portato ad un contenimento del rischio e ad una maggiore diversificazione geografica: la crescita dell’Europa Extra UE e del Nord America, unita alla tenuta dell’Unione Europa, nonostante gli importanti problemi economici, ha portato ad un nuovo quadro in cui è minore il peso dei Paesi che stanno incontrando un certa instabilità politica. Non corrisponde, quindi, più alla realtà il concetto che le nostre imprese sono presenti all’estero solo nelle aree più svantaggiate. È diventato vero l’esatto contrario: l’esperienza maturata sui mercati più difficili, quelli in cui il rischio è maggiore, è servita per “conquistare” quelli più selettivi e competitivi. Questo riposizionamento è potuto avvenire grazie agli investimenti effettuati negli anni, che hanno portato ad un sempre più spinto livello del know-how tecnologico della produzione, che pone le imprese italiane ai vertici dell’industria mondiale. Se molte imprese del campione oggi lavorano stabilmente in Paesi con requisiti, dal punto di vista qualitativo, tra i più selettivi del mondo, è frutto di una particolare attenzione verso l’innovazione di prodotto e di processo, sempre nel rispetto dell’ambiente. Questo sviluppo del business ha permesso la creazione di solide partnership con i principali player internazionali del settore e con le più importanti Istituzioni finanziarie mondiali (fondi e banche d’investimento). Da sottolineare, infine, che i 36 gruppi di imprese hanno creato, o controllano, oltre 250 imprese di diritto estero (più 20 rispetto allo scorso anno) in almeno 81 Paesi (8 in più in confronto al 2011).

Alessandro Bini 
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